Valerio Melandri: la raccolta fondi è relazione. Anche nell’era dell’intelligenza artificiale. 

Valerio Melandri: la raccolta fondi è relazione. Anche nell’era dell’intelligenza artificiale. 

Valerio Melandri, avete da poco concluso l’edizione numero diciotto del Festival del Fundraising. Un numero simbolico, la maggiore età. Come la interpretiamo?

“Siamo cresciuti insieme. Io, il Festival, le persone che ci hanno lavorato e tutte quelle – come te – che hanno scelto di esserci. Diciotto anni fa parlare di raccolta fondi come professione sembrava un azzardo. Oggi, invece, è un dovere. Il Festival è diventato la casa di chi ha deciso di non accontentarsi. Di chi vuole diventare un fundraiser più bravo, un collega più generoso, un essere umano più utile. E sì, anche un leader più consapevole.”

Quindi oggi si può dire che si è affermata una visione professionale del raccoglitore di fondi?

“Altroché! Oggi chi fa fundraising lo fa con metodo, formazione e visione. Non si improvvisa più nulla. Il nostro Master in Fundraising dell’Università di Bologna – che ormai ha 24 anni – ne è una dimostrazione. Ma non è l’unico. E la professionalizzazione ha portato con sé due cose: stipendi migliori (finalmente) e più rispetto. E poi c’è un fatto che va detto: il nostro è uno dei pochi settori dove le donne stanno nei posti che contano. E lo fanno benissimo.”

Però, da un certo punto di vista, la categoria dovrebbe essere formata da individui in perenne lotta tra loro. Se io dono a te, poi non dono a un altro…

“Falso. I dati dicono che chi dona, dona in media a 2,5 organizzazioni. Questo vuol dire che non c’è una sola torta da dividere, ma che possiamo farla crescere insieme. Per questo parliamo di comunità. Oggi siamo un popolo. Un popolo silenzioso, ma operativo. Ogni giorno lavoriamo per costruire il bene. E il Festival è il nostro raduno. È dove ci ritroviamo a dire: “Ci siamo. E siamo tanti.”

Hai detto che il fundraiser è “invisibile”. E che il Festival serve a renderlo visibile. In apparenza una contraddizione, un gioco di parole di quelli che piacciono tanto a noi comunicatori oppure…

“Oppure! Il fundraiser vero non è mai sotto i riflettori. Fa il lavoro sporco. Mette in moto processi, costruisce possibilità, accende speranze. Ma resta dietro le quinte. Il Festival è nato per questo: per dire a tutte queste persone che il loro lavoro conta. Che meritano di essere riconosciute. Dare visibilità a chi lavora nell’ombra non è marketing: è giustizia.”

Quest’anno avete pensato percorsi tematici molto diversi. Cultura, CSR, piccole organizzazioni… perché questa scelta?

“Perché il non profit non è un monolite. È un arcipelago. C’è la piccola associazione che combatte nel suo quartiere e c’è la fondazione internazionale che si occupa di cultura nel mondo. Parlano lingue diverse, hanno risorse diverse. Ma hanno una cosa in comune: vogliono cambiare la realtà. E il Festival deve essere il posto dove ognuno si sente a casa.”

C’è stato un momento che ti ha toccato più degli altri, in questa edizione?

“Il momento in cui abbiamo ricordato Riccardo Bonacina. Un uomo che ha saputo raccontare il sociale con autenticità e bellezza. Quando abbiamo consegnato il premio a lui dedicato, in sala c’era silenzio. Ma non un silenzio vuoto. Un silenzio pieno. Quel tipo di silenzio che dice: “Grazie.” Il Festival è anche questo: memoria viva.”

Se invece dovessi racchiudere tutto in una sola parola, quale sceglieresti?

“Relazione. È il cuore di tutto. Senza relazione, non c’è fundraising. Non bastano le tecniche, né i numeri, né tantomeno l’intelligenza artificiale. Senza cuore, non si raccoglie niente.”

A proposito di intelligenza artificiale: come la si può usare per mantenere umano il cuore del fundraising?

“L’AI è un assistente. Ti scrive un report, ti fa una profilazione, ti suggerisce una strategia. Fa risparmiare tempo. E quel tempo possiamo usarlo per ciò che conta davvero: ascoltare. Guardare in faccia le persone. Coltivare fiducia. L’AI non ha cuore. Non ha occhi. Non ha empatia. Ma può aiutarci a fare meglio ciò che solo un essere umano sa fare: costruire relazioni.”

L’intelligenza artificiale è quindi uno strumento, non un sostituto…

“Esatto. E al Festival lo abbiamo detto chiaramente: l’AI può liberarci, non snaturarci. Ma attenzione: renderà evidente la differenza tra chi è mediocre e chi è bravo. I mediocri verranno sostituiti. Gli altri cresceranno. Noi siamo per l’intelligenza artificiale… al servizio dell’intelligenza alternativa.”

Intelligenza alternativa?

“Quella del non profit. Che è un modo diverso di pensare il mondo. Un’intelligenza che non punta al profitto individuale, ma al bene comune. Un’intelligenza che cura, che ascolta, che serve.”

Interessante…

“Grazie! Ma posso chiederti io una cosa? Quale è stato per te uno dei momenti speciali del Festival del Fundraising?”

Nel pomeriggio dell’ultimo giorno ero sulla scala mobile e dall’altra parte scendeva Stefano Malfatti, presidente dell’Associazione Festival del Fundraising. Non mi conosce. Mi guarda, nota una somiglianza con Seth Godin (calvo e con gli occhialini….Non è body shaming…!!!) e mi dice: “Ciao Seth Godin.” E da li abbiamo iniziato, ridendo, a parlare. 

“Vedi, Stefano ha trovato un modo per creare un contatto, per iniziare una relazione. Come dicevamo prima. Relazione è tutto.”

Come hai scritto nella tua ultima newsletter “500 parole di fundraising” a proposito del messaggio di ringraziamento di Seth Godin…

“Sì, Seth mi ha scritto: “Grazie per avermi dato la possibilità di contribuire.” Non ha detto: “Grazie, ho fatto la mia parte.” Ha detto: “Grazie per avermela fatta fare.” È questo il punto: il fundraising non è solo chiedere. È offrire a chi dona la possibilità di fare qualcosa di giusto, di utile, di bello.”

Con questa premessa, possiamo chiudere con la definizione di fundraising…

“Il fundraising è lo strumento che permette alle buone cause di stare in piedi. Di durare. Di incidere. Senza soldi non ci sono progetti. Senza donatori, niente impatto. E senza relazioni… niente donatori. Il nostro lavoro è uno solo: far sentire i donatori utili, non usati. Ed è per questo che possiamo dire, con orgoglio: io raccolgo fondi. Non bisogna mai vergognarsi di chiedere soldi. Perché non li chiediamo per noi. Li chiediamo per cambiare in meglio le cose.”

Antonio Pamieri

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