Paracchi: biotecnologie settore strategico per la salute e per lo sviluppo del Paese.

“Fino a prima della pandemia le biotecnologie erano un argomento riservato a pochi, il cui campo di azione sembrava quasi distante dalla quotidianità. Oggi, dopo la bomba pandemica, si parla ovunque di bio-sicurezza e bio-economia: dall’ambiente alle malattie rare, all’oncologia, fino alla sicurezza nazionale. Le biotecnologie sono al centro del benessere e della sicurezza di una nazione.”

Quindi possiamo dire che le biotecnologie sono strategiche per il futuro dell’Italia?

“Eccome, caro Palmieri.”

La vedo determinato, Pierluigi Paracchi, fondatore e Ceo di Genenta Science, spin-off dell’Ospedale San Raffaele che sta sviluppando una terapia cellulare biotecnologica, basata sull’ingegnerizzazione di cellule staminali del sangue e che permette l’espressione controllata e mirata di specifiche proteine antitumorali direttamente all’interno del tumore così da riattivare il sistema immunitario.

“Guardi, quello che è chiaramente emerso con la pandemia è che le biotecnologie cambiano il corso della storia, dell’economia, oltre che la salute dell’individuo, perché impattano su talmente tanti aspetti della vita che diventano davvero un punto strategico per la sicurezza e prosperità di una nazione.” 

Se le cose stanno così, avere o non avere un ecosistema forte in questo ambito è molto importante per il futuro di un paese. A che punto siamo in Italia?

“Lo approfondiremo mercoledì prossimo, il 29 maggio, a Montecitorio,  nel convegno “Il ruolo strategico delle biotecnologie per la competitività del Paese”.

In attesa del convegno alla Camera e di quanto direte in quella sede, cosa possiamo anticipare ora, a partire dalla esperienza che lei ha maturato in questi dieci anni dopo aver fondato Genenta Science, società che sviluppa una terapia cellulare avanzata per la cura dei tumori, oggi quotata in borsa sul mercato USA del Nasdaq, unica società italiana a esserlo?

“Se avessimo un settore biotech nazionale più sviluppato e con maggiori “bio-imprenditori” e investimenti potremmo avere tante società in grado di sviluppare terapie innovative di impatto. Chi arriva prima ad una cura, serve i suoi cittadini e poi tutti gli altri. Chi ha sviluppato il vaccino per il Covid, lo ha fornito prima ai suoi cittadini e poi ai paesi amici. Questo è un grande potere….” 

…e voi come lo state esercitando?

“Noi di Genenta siamo in fase sperimentale  1/2a, cioè trattiamo negli ospedali con la nostra terapia sperimentale pazienti malati di un tumore al cervello molto aggressivo. Questo significa che un paziente affetto da questa malattia, con un’aspettativa di vita di pochi mesi e per la quale non ci sono ad oggi terapie se non palliative, sa che in Italia, nel suo Paese, c’è la possibilità di entrare in una sperimentazione clinica. Non è obbligato tentare, senza di fatto alcun possibile successo, di migrare in paesi lontani per avere accesso ad una sperimentazione di una terapia avanzata.” 

Questa è certamente, nella disavventura, una opportunità. Tornando al punto di partenza, a suo avviso cosa manca affinché l’ecosistema biotech funzioni e sia competitivo?

“Imprenditori, scienziati e manager, investitori e policy makers devono elevare il biotech a settore strategico, come l’energia e la difesa.”

Non le sembra di pretendere troppo?

“La mia non è una provocazione ma è realismo, basato sulla conoscenza. 

Il biotech sta attirando l’attenzione dei grandi investitori internazionali da un lato e l’interesse dei governi dall’altro. Per esempio, negli Stati Uniti sono nate due Commissioni (ARPA-H e NSCEB) che hanno come scopo principale quello della biosicurezza, puntando anche collaborazioni con i Paesi Alleati.” 

E in Italia?

“In Italia abbiamo da qualche mese operativo il Tavolo Nazionale per l’internazionalizzazione del settore Biotech, voluto dal Ministero degli Esteri.”

Lato investimenti come siamo messi?

“Da noi il venture capital è ancora una start-up. La prevalenza degli investitori pubblici rappresenta un fattore preponderante. Esiste una cifra statale marcata anche in Germania e in Francia. Ciò a differenza di USA. L’Italia è un Paese follower, gli operatori di venture capital hanno ancora ruolo minore e non in grado di supportare round robusti, ossia quelli che portano le terapie ai pazienti. Questa dovrebbe essere la principale sfida per realtà come Fondazione Enea Tech e Biomedical e Cdp Venture Capital. Se queste non ci sono al momento giusto, le nostre imprese di successo troveranno solo capitali esteri e rischieranno di migrare. Poi è necessario una Borsa per le tech company per tenere i nostri campioni.” 

Si spieghi meglio…

“Il nostro Paese ha tradizione scientifica di primo piano, con alcune punte di eccellenza di livello mondiale, penso alle terapie geniche e cellulari. Dovremmo concertare gli investimenti in imprese che sviluppano biotecnologie emergenti in grado di impattare sulle patologie di interesse nazionale come le malattie cardiovascolari, l’oncologia o le malattie autoimmuni. E dovremmo farlo con l’obiettivo di tenere questi campioni di innovazione in Italia, evitando il pericoloso fenomeno del “company flight”, ovvero, dopo la fuga dei cervelli, la fuga delle imprese e del loro tesoro di tencnologia.”

Se capisco, si tratta di intervenire a sostegno della dinamica delle aziende ad alto potenziale… 

“…il tema è che quando una impresa cresce fino a un primo buon livello di maturazione, non esiste uno strato italiano di investitori specializzati, sia venture capital che industrie, che possano diventare partner di lungo periodo. E spesso accade che subentrino nel capitale fondi o industrie stranieri, che beneficiano di quanto prodotto dal nostro sistema nazionale. E senza una Borsa che genera le exit per i primi investitori, il settore del Venture Capital rimarrà nano. E’ nata prima la gallina dell’uovo. Prima serve un mercato finanziario e poi segue un settore VC vero”. 

Qualcosa di simile a quanto accade con la fuga dei cervelli…

“Esattamente. Nella generazione di nuova imprenditorialità ad alto contenuto tecnologico, il rischio è che si ripeta il paradosso del nostro sistema educativo. Nelle nostre università dove il rapporto fra il livello medio della formazione offerta e il costo delle rette a carico delle famiglie è fra i più convenienti al mondo formiamo giovani con passione profonda per la ricerca, che magari conseguono il dottorato…”

…e a quel punto vanno a lavorare all’estero, depauperando il Paese e vanificando l’investimento in istruzione.

“È ciò che sta succedendo da oramai troppi anni. Alla fine, va all’estero. Spesso non torna più in Italia, se non per le vacanze. Ecco, nei diritti di proprietà e quindi nel posizionamento e nella traiettoria strategica, con le imprese high-tech può capitare la stessa cosa”.

Una situazione da evitare. 

“Se investiamo oggi sulla così detta medicina di precisione (come quella del gene editing) potremo garantire una migliore qualità della vita ai nostri cittadini e al contempo trattenere i nostri talenti. Nonostante la crisi degli ultimi anni e le differenze territoriali, il nostro sistema sanitario ancora tiene. I centri di eccellenza italiani – non solo il San Raffaele, ma anche lo IEO, il Candiolo, il Bambin Gesù – competono con il meglio degli Stati Uniti.”

Come si inseriscono il digitale e l’intelligenza artificiale nella vostra attività? 

“Stiamo lavorando per valutare l’utilizzo di un braccio sintetico nello studio clinico, ovvero non avere pù un gruppo di pazienti trattao e uno non trattato con la stessa terapia al fine di avere un paragone. Bensì, sintetizzare dati e creare un gruppo “virutale” contro il quale testare una nuova terapia. I vantaggi anche etici sono evidenti oltre i risparmi di costi e di velocità di esecuzione.”

Come vede il futuro delle biotecnologie e del digitale nel settore sanitario?

“Siamo solo all’inizio. Le biotecnologie continueranno a svilupparsi, portando a terapie sempre più innovative e personalizzate. Allo stesso tempo, il digitale diventerà sempre più integrato, con l’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data che rivoluzioneranno la diagnosi, il trattamento e la gestione dei pazienti. In questo scenario, aziende come Genenta avranno un ruolo centrale nel guidare questi cambiamenti, contribuendo a creare un futuro dove il cancro e altre malattie complesse possano essere trattate in modo più efficace e meno invasivo. Per curare le patologie di grande impatto servono imprenditori, capitali italiani, scienza avanzata. Noi cerchiamo di fare la nostra parte.”.

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