Usare l’intelligenza artificiale al posto dei politici?

Il 35% degli italiani giudica il lavoro del politico al quinto posto tra quelli sostituibili dall’intelligenza artificiale. Questo dato dell’indagine Youtrend/Fondazione Pensiero Solido su “Gli italiani e l’intelligenza artificiale” mi è tornato in mente dopo che in aula al Senato il senatore Lombardo ha letto un intervento prodotto usando chatGPT4. 

Una provocazione, ha spiegato Lombardo, per “aprire un dibattito pubblico serio” utile ad “analizzare le implicazioni etiche, economiche e sociali dell’utilizzo degli algoritmi di intelligenza artificiale…affinchè la tecnologia sia al servizio dell’uomo e del bene comune e non costituisca una minaccia per la nostra democrazia”. 

Obiettivo condivisibile, ma Lombardo ha in realtà involontariamente aperto il dibattito sull’impatto dell’intelligenza artificiale sulla politica e sulla sostituibilità dei politici con un software di AI. Lo sintetizza la vignetta di Makkox su Il Foglio del primo giugno. La voce fuori campo pone una prima domanda al senatore Lombardo: “E questa AI ha scritto gratis?” Alla risposta “sì” ecco la seconda, definitiva, domanda: “Invece lei ci costa?”

Battute più o meno facili a parte, l’evoluzione dei programmi di intelligenza artificiale generativa e conversazionale rilancia la questione di fondo: la ricerca di una politica senza i politici, quindi senza democrazia. 

Non è un tema nuovo. Nel giugno 2021, il sondaggio del Center for the Governance of Change dell’IE dell’università di Madrid, centro specializzato nell’analisi dei collegamenti tra politica, economia e sviluppi della tecnologia, aveva appurato che il 51% degli elettori europei era favorevole a ridurre il numero dei parlamentari e ad attribuire quei seggi a un sistema di intelligenza artificiale. 

Alle elezioni dello scorso novembre in Danimarca, il Partito Sintetico ha provato a presentare come proprio candidato apicale un’intelligenza artificiale, un chatbot chiamato Leader Lars.

La ong The Society Library ha avviato nel 2018 negli Stati Uniti il progetto “AI politician“ per rendere superflue le elezioni. Ai cittadini sarebbe bastato scrivere le proprie preoccupazioni e idee e, premendo invio, il software di AI avrebbe restituito soluzioni legislative in grado di interpretare bisogni e preoccupazioni dell’opinione pubblica.

Sostituire politici democraticamente eletti con i nuovi programmi di intelligenza artificiale generativa può essere la nuova frontiera tecnologica della sfiducia verso i politici e le modalità di funzionamento della democrazia. Un sentimento che qualche anno fa un tassista romano fa mi ha riassunto così: “Onorè, noi non odiamo la politica, odiamo li politici”. 

Oggi le nuove possibilità offerte dall’intelligenza artificiale generativa e conversazionale consentono di dare soddisfazione al tassista. Esse possono realizzare il sogno/progetto di una “tecnocrazia artificiale” che potrebbe essere vista da molti cittadini come la meritata fine della politica (vissuta e raccontata) come luogo di eterno contrasto autoreferenziale, di chiacchiere infinite che non risolvono i problemi. Perché perdere tempo a discutere nelle sedi istituzionali, quando un software ben istruito potrebbe darci in breve tempo la soluzione migliore? 

In un contesto in cui le democrazie fanno fatica a reggere il confronto con altri modelli autoritari o semiautoritari, il tema della “tecnocrazia artificiale” diventa un tema importante su cui riflettere. A cascata, questa riflessione illumina un altro decisivo aspetto del rapporto tra AI e democrazia: come può impattare l’intelligenza artificiale generativa e conversazionale sulla campagna elettorale? 

Nei giorni della Festa della Repubblica, sono temi sui quali è giusto iniziare a interrogarci.

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